Giochi Popolari

E cciappeddi

Praticato anche dagli adulti è questo gioco molto simile a quello delle bocce.
Il pallino è costituito da una piastrella (u spècchiu) posta in senso verticale al terreno e sostenuta da un sasso (u mastru); sotto il sasso vengono messe ance delle monetine, scommesse da ciascun giocatore, che costituiscono la posta in gioco.
Dopo avere effettuato la conta per stabilire il turno, ciascuno dei giocatori munito di cciappedda effettua il suo lancio; egli ha la possibilità di fare un tiro valido in tre modi: o facendo cadere sopra le monete, contemporaneamente e con un sol colpo di cciappedda, la piastrella e il sasso e in questo caso vince tutta la posta in gioco, o facendo cadere solo la piastrella o infine spostando la piastrella anche senza farla cadere, ma toccando con la cciappedda le monetine poste sotto il sasso; questi due ultimi tiri gli permettono di conservare il diritto ad un altro tiro. Se invece la sua cciappedda non riesce a toccare u specchiu in alcun modo, perde il diritto al tiro che sarà effettuato dal giocatore che ne ha il turno.
Ovviamente vince che per primo riesce ad impossessarsi della posta del gioco.
In questo gioco è importante rilevare la presenza di un arbitro non giocatore che il compito di fare rispettare il turno e di rimettere a posto u specchiu quando viene colpito da uno dei giocatori

A mmuccia mmuccia (A nascondino)

E' il noto gioco del nascondiglio con qualche piccola variante; un ragazzo, designato dalla conta (ca nisciù), si appoggia al muro nascondendo il volto e comincia a contare a voce alta fino a quarantuno; gli altri hanno così il tempo di scegliere un nascondiglio e di celarvisi.
Finito di contare, il ragazzo comincia la sua ricerca e appena scova uno dei compagni grida: Ti visti! o Ti vitti!
A questo punto il ragazzo che è stato visto dovrà a sua volta ricominciare il gioco con le stesse modalità.
Il gioco dura fino a quando tutti insieme non decideranno di cambiare gioco.

A ncugna

Simile per certi aspetti al gioco "e cciappeddi" è questo gioco che ha, a sua volta, due varianti: una prima variante prevede che ci sia una monetina posta orizzontalmente al terreno, appoggiata al muro o al marciapiedi, che funge da pallino per i tiri di altre monetine; chi riesce a fare cadere la monetina avrà vinto questa e tutte le altre monetine che i giocatori avevano tirato precedentemente e che non avevano colpito il bersaglio; nella seconda variante non c'è il pallino e i tiri e la vincita avvengono a questo modo: intanto i giocatori si devono disporre su un largo marciapiedi; il bordo di questo costituirà il limite oltre al quale le monetine non possono andare perché nel caso contrario vincerà la moneta il giocatore che tira dopo di chi ha sbagliato (in questo gioco infatti ha molta importanza il turno con cui si effettuano i tiri); se alla fine del gioco tutti i partecipanti non avranno commesso nessun errore, vincerà la posta (cioè tutte le monetine) colui che avrà tirato la sua moneta più vicina al bordo del marciapiedi. Il gioco, con questa variante, è anche chiamato o munti.

A megghiu visula

Quando la pavimentazione stradale non era ancora costituita da mattonelle di asfalto ma di basale di pietra lavica (i bbàsuli), i ragazzi potevano pratica questo gioco che nella sua parte iniziale è simile a quello delle bocce; dopo avere scelto la bbàsula adatta all'occasione, i ragazzi raccolgono e mettono insieme tutte le monetine che sono riusciti a racimolare nella giornata; questo mucchietto di denaro costituisce il premio per il vincitore.
Poi un ragazzo prende una moneta e la lancia in aria cercando di farla finire al centro della mattonella scelta; gli altri ragazzi faranno lo stesso dopo di lui; alla fine misurano quanta distanza c'è fra ciascuna moneta e il centro della mattonella perché il "lanciatore" della moneta che è caduta più vicina al bersaglio, giocherà per primo e poi seguiranno gli altri, secondo l'ordine della distanza dal centro ottenuta con la propria moneta.
Questa operazione è fatta con molta cura e se la differenza fra le varie distanze non è molto chiara, i ragazzi ricorrono a dei metri rudimentale come ad esempio a dei sottili ramoscelli (i fuscagghi).
Stabilito così il turno di gioco, il primo ragazzo raccoglie tutte le monete, anche quelle degli altri, le sistema l'una sull'altra per lo stesso verso e le lancia tutte in aria; quelle che cadranno mostrando la "testa" saranno vinte da lui, quelle che invece cadranno mostrando la "croce" costituiranno il premio per il secondo giocatore; il gioco va avanti così fino alla fine delle monete.

A mastra

Quando non esisteva ancora le scuole materne, le mamme che doveva andare a lavorare fuori di casa o che semplicemente volevano fare le faccende con più tranquillità, portavano i loro figli, che non erano in età scolare, dalla mastra, una donna che per qualche soldo li teneva in casa propria e li accudiva dalle otto di mattina alle quattro del pomeriggio.
La donna aveva anche il compito di insegnare ai bambini più grandicelli i primi elementi della scrittura, come le aste, le vocali e le consonanti, e della lettura.
Una delle tante donne che esercita a Catania la professione di mastra abitava in un quartiere chiamato u locu posto tra le attuali vie Scaldara, Viadotto e Bonfiglio, a ridosso della stazione Acquicella.
Nella zona, una volta, non erano state costruite molte case e gran parte del territorio era allo stato naturale: vi erano soltanto alcuni alberi e dei filari di piante di fichidindia; un enorme fossato, profondo quasi sei metri, era la caratteristica principale del quartiere; in esso ristagnava l'acqua piovana e spesso veniva usato come discarica dei rifiuti dalla gente che abitava nei dintorni.
Poco distante da questo logo sorgeva uno stabilimento dove si raffinava e si confezionava la liquirizia; a volte si potevano vedere, proprio nel bordo del fossato, delle donne che sbucciavano le radici della liquirizia e che le tagliuzzavano in piccoli pezzi, per poi sistemarle sopra dei sacchi e farle asciugare al sole. Nella casa della mastra c'era un'ampia stanza, con il pavimento di cotto di terracotta e con le pareti bianche, dove di solito stavano i bambini; questa stanza dava su un cortile interno dove erano sistemati gli impianti igienici: u cantru (vaso da notte), a pila (vasca in muratura usata per lavare i panni) con la bbàsula (piano scanalato dove veniva strofinati i panni), a ggiarra cc'aceddu (grande giara in argilla alla quale era stato attaccato un rubinetto di rame), nel cortile, al centro stava u pirituri (imboccatura della conduttura sotterranea di solito costituita da un tubo di terracotta) per lo scarico delle acque piovane e di quelle provenienti dalla ggiarra e dalla pila.
Il fanciullo che andava dalla mastra portava l'occorrente per studiare: nella sua cartella (a uzza), aveva la matita (u làpisi) e i quaderni per scrivere; in un cestino di vimini (u panareddu), aveva anche la sua merendina.
La vivacità dei bambini è segno di intelligenza, si dice, ed anche questi bambini che vanno dalla mastra vengono spesso in contrasto tra loro. La mastra deve a questo punto dimostrare la sua abilità di educatrice e con una certa autorità invita i bambini al silenzio perché adesso si deve giocare a ...